Riteniamo possibile una soluzione alternativa che consenta all’amministrazione regionale di far cassa con il taglio degli alberi senza danneggiare l’apicoltura isolana.
L’APICOLTURA E I BOSCHI
L’apicoltura siciliana è oggi rappresentata da oltre 800 aziende censite per un totale di 126.000 arnie dichiarate (1). Questo pone la Sicilia al secondo posto in Italia, dietro il Piemonte, per numero di aziende, arnie e miele prodotto. L’apicoltura siciliana è al primo posto, con ampio distacco dalle altre realtà, per quantità di sciami forniti per l’impollinazione nelle serre.
Sebbene il comparto apistico non sia tra i più importanti comparti produttivi per reddito complessivo prodotto (2) tuttavia la sua funzione lo rende indispensabile nell’economia dei territori e nell’equilibrio ambientale: l’attuale serricoltura, il più importante comparto agricolo siciliano, non potrebbe sopravvivere senza l’apporto degli apicoltori; in pieno campo la presenza delle api consente un aumento delle produzioni frutticole, orticole e foraggere tra il 20 e il 50% secondo le specie. L’importanza della protezione delle api, e per discesa dell’apicoltura, è sottolineata tra l’altro nell’incipit della legge 313 del 2004 che all’art. 1 recita:
1. La presente legge riconosce l’apicoltura come attività di interesse nazionale utile per la conservazione dell’ambiente naturale, dell’ecosistema e dell’agricoltura in generale ed è finalizzata a garantire l’impollinazione naturale e la biodiversità di specie apistiche, con particolare riferimento alla salvaguardia della razza di ape italiana (Apis mellifera ligustica Spinola) e delle popolazioni di api autoctone tipiche o delle zone di confine.
Il bosco e le aree demaniali hanno per l’apicoltura un’importanza fondamentale.
In esse si conserva e da esse si genera quella biodiversità che un’agricoltura sempre più industrializzata e inquinata ogni giorno cancella.
Dalla presenza del bosco naturale può ripartire la ricolonizzazione delle aree degradate e abbandonate e la spontanea moltiplicazione delle piante mellifere.
La varietà di essenze mellifere presente nel bosco naturale consente alle api un approvvigionamento di polline e nettare per gran parte dell’anno.
Il bosco è, già adesso e sempre più lo sarà in futuro, luogo di rifugio e sopravvivenza delle api, specie nei territori fortemente antropizzati e in quei comprensori agricoli dove più intenso si sta facendo l’uso di nuovi antiparassitari ( i neonicotinoidi) incompatibili con la vita degli insetti pronubi.
Ne va trascurato il fatto che, come ampiamente documentato in letteratura, l’ape è un bioindicatore per eccellenza e il suo stato di salute misura lo stato di salute di un ecosistema.
Il bosco e le aree demaniali sono fonte di reddito non secondario per gli apicoltori; ad esso sono legate le produzioni di molti mieli e in particolare dei mieli di castagno, di erica, di timo, dei millefiori di montagna, delle melate.
Particolare importanza rivestono i boschi artificiali ad eucalipti. Il 20% del miele prodotto in Sicilia è miele di eucaliptus (3). Si tratta di circa 880 tonnellate su oltre 4400 tonnellate complessive. E’ il monoflora siciliano più importante dopo quello di agrumi.
Questi due monoflora sono i più richiesti dai consumatori; veicolano l’immagine della Sicilia. E’ ormai consolidato il fatto che il brand “Sicilia” è il più famoso tra i nomi regionali sul mercato nazionale ed internazionale ed agisce da traino nella filiera agroalimentare.
Per il miele di eucaliptus non si tratta di produzioni occasionali ma costanti negli anni e da queste gli apicoltori siciliani traggono una parte significativa del proprio reddito.
In oltre 60 anni di vita di questi boschi, gli apicoltori siciliani hanno costruito un sostanziale equilibrio tra l’offerta di nettare e la pressione di raccolta e hanno dimensionato le scelte economiche ed aziendali sulla base delle possibilità offerte dalla presenza degli eucalitteti.
La fioritura dell’eucaliptus è l’ultima grande fioritura prima dell’inverno, con essa le api accumulano le scorte di miele indispensabili a superare i mesi invernali. Senza questa fioritura bisogna ricorrere ad alimentazioni di soccorso per evitare la morte per fame delle famiglie d’api oppure rinunciare ad un’apicoltura intensiva e professionale.
Per tutto quanto detto fin qui, consideriamo insostenibile la scelta dell’amministrazione di andare al taglio a raso e indiscriminato degli eucalipteti siciliani. Le aziende appesantite da sempre nuove emergenze sanitarie (aethina tumida, vespa orientalis, xylella fastidiosa, ecc.), dal dilagare degli avvelenamenti da antiparassitari (uso indiscriminato di neonicotinoidi), dagli inasprimenti normativi e fiscali, vedrebbero in questa scelta l’ennesima dichiarazione di guerra alla nostra apicoltura.
Pur non ritenendoci responsabili della drammatica situazione finanziaria della Regione Sicilia tuttavia riteniamo possibile una soluzione alternativa che consenta all’amministrazione regionale di far cassa con il taglio degli alberi senza danneggiare l’apicoltura isolana.
I boschi di eucalipti furono impiantati negli anni 50 con un sesto molto stretto; oggi gli alberi appaiono addossati l’uno all’altro, con tronchi filanti e chioma molto contenuta, in conseguenza la carica florale di ogni albero è davvero modesta. Un diradamento oculato e intelligente, diciamo il 20% ogni due anni con rotazione decennale sul ricaccio, consentirebbe al restante bosco di incrementare la massa fogliare e la fioritura sino a compensare le perdite da taglio. Una rotazione decennale, consentirebbe al ricaccio, tornato in fioritura dopo quattro anni, di raggiungere un buon livello di produttività nettarifera per un periodo di tempo non effimero.
L’allargamento di una chioma non avviene di botto, non raddoppia o triplica ogni anno, ma con una progressione lenta. Un bosco fatto di tanti pali sottili e alti è molto fragile; un diradamento superiore al 20% significa esporre le piante ai venti forti che le stroncherebbero prima che queste si siano sufficientemente rafforzate.
Non va dimenticato che togliendo solo un quinto degli alberi in due anni non si avrebbe uno stravolgimento del paesaggio; inoltre si avrebbe una continuità nel lavoro per i dieci anni di rotazione, poiché gli operai sarebbero sempre impegnati, ogni anno e sullo stesso territorio.
Con questa procedura e con la piantumazione di altre essenze, là dove non avviene il ricaccio, si costruirebbe un bosco misto, vario nelle essenze e nell’età delle piante, proprio come dovrebbe essere un bosco naturale.
Infine siamo solidali con le popolazioni che vedono i boschi di eucalipti come parte integrante del loro paesaggio : un bosco di 70 anni non può certo considerarsi una coltivazione provvisoria; è il paesaggio di più generazioni di persone, è il loro ambiente, come l’hanno sempre conosciuto.
Se poi, dopo più di un secolo si vuole ancora definire l’eucaliptus una pianta esotica, per coerenza bisognerebbe definire tale la robinia, il pino italico piantato in montagna, il cedro atlantico, l’ailanto, l’acacia orrida, e andando indietro nel tempo, il fico d’india, l’agave, l’acetosella, il carrubo, l’albicocco, , gli agrumi, il gelso, la palma………… Fin dove vogliamo spingerci ? La Sicilia è sempre stata nella storia un orto botanico di specie esotiche su scala regionale. E’ la sua caratteristica, la sua storia e la sua unicità. Se è giusto, oggi, con le conoscenze acquisite, essere assai cauti nell’introduzione di nuove specie per gli sconvolgimenti ambientali che potrebbero creare, non è giusto procedere a ritroso cancellando la storia botanica, culturale e agraria di una regione.
Di tutto questo vorremmo poter discutere ed approfondire ad un tavolo tecnico congiunto con l’Azienda foreste.
In quella sede vorremmo anche discutere dell’applicazione, ad oggi disattesa, di quanto prescritto dalla legge regionale sull’apicoltura n° 65 del 27/9/95, la quale, all’art. 15, recita:
art. 15 Risorse nettarifere
1. Al fine di favorire la consistenza delle risorse nettarifere e la diffusione dell’apicoltura, l’Azienda regionale delle foreste incentiva, anche tramite convenzioni con soggetti pubblici e privati, l’inserimento di specie vegetali autoctone di interesse apistico nei programmi di rimboschimento e negli interventi per la difesa del suolo.
In quella sede faremmo rilevare che tra le essenze elencate nelle tabelle 1,2 e 3 pag.11 -13 del documento di indirizzo “A” del PFR mancano due piante tipiche della macchia mediterranea, l’arbutus unedo (corbezzolo) e l’erica arborea, di particolare interesse apistico per il loro apporto di nettare e polline nel periodo autunnale la prima e invernale la seconda.
In quella sede indicheremmo, tra le tante specie elencate nel suddetto PFR, quelle di maggiore interesse apistico e quindi magari da privilegiare nelle nuove piantumazioni.
In quella sede potremmo suggerire la protezione e la diffusione di certe erbe e arbusti legnosi, di solito trascurati, in particolare le eriche, l’alaterno, la ginestra spinosa, e tutte le labiate (timo, rosmarino, origano, menta, salvia, calaminta, ecc.).
Alcune di queste essenze, in certi areali, consentono la produzione di mieli monoflora di grande pregio quando non unici come il miele di timo degli Iblei, attualmente oggetto di presidio slow food, o il miele di rosmarino a Marettimo. Tutte queste essenze comunque partecipano fortemente alla formazione e caratterizzazione di molti mieli siciliani.
Ulteriore preoccupazione suscita la notizia che si voglia reintrodurre un canone non simbolico per lo stazionamento delle arnie nelle aree demaniali.
Per quanto detto in premessa (legge 313 del 2004) da una amministrazione pubblica ci si aspetta una azione di protezione, aiuto e salvaguardia dell’apicoltura, non certo un ennesimo tentativo di prelievo fiscale da aggiungere ai tanti balzelli che già gravano sulla nostra attività. E’ paradossale che mentre le aziende private, riconoscendo il ruolo svolto dagli apicoltori, generalmente non chiedano alcun canone per lo stazionamento degli apiari, l’amministrazione pubblica punti ad estrarre dagli apicoltori l’ennesima tassa mascherata; essa dimostra ancora una volta di ignorare il reale ritorno economico di questa attività e l’impossibilità, in questa economia globalizzata e con i prezzi imposti dai mercati internazionali, di poter scaricare sul consumatore finale gli aumenti dei costi.
Se si accettasse questa logica, diventerebbe per noi legittimo chiedere all’amministrazione un contributo per l’azione di presidio e salvaguardia del territorio boscato che svolgiamo con la nostra presenza e per l’azione di impollinazione e riequilibrio ambientale svolto dalle api.
Pertanto non riteniamo accettabile che si reintroduca un canone di stazionamento per gli apiari.
Certi della Vostra attenzione rimaniamo in attesa di cortese riscontro.
ARAS- Associazione Regionale Apicoltori Siciliani
aras@apicoltorisiciliani.it
CONAPI Sicilia
Apimichele.barbagallo@virgilio.it
NOTE
(1) dati 2013 – fonte assessorato risorse agricole e alimentari della regione Sicilia
(2) Il valore commerciale del miele prodotto in Sicilia è realistico ipotizzare compreso tra 15 e 20 milioni di euro (stimando una produzione media di 35 kg di miele per arnia). A questo va aggiunto il valore della produzione di sciami, regine, polline e pappa reale il cui valore ruota tra 4 e 5 milioni di euro.
(3) dato tratto dal supplemento all’”Informatore Agrario” n° 50 del 12/2006